Sulla Violenza negli stadi

Proibite ai vostri figli
di andare allo stadio
(un giornalista contro la violenza negli stadi)
di Daniele Azzolini
(per gentile concessione del quotidiano "Metro", del 20 Ottobre 2000)
rif. 161100-081102
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Avevamo il campionato più bello del mondo, dicevano, e forse c'è chi lo dice ancora.   Ora abbiamo il campionato più razzista, e c'è chi lavora alacremente per farlo diventare anche il campionato più violento.   Vedrete, prima o poi ci riusciranno, perchè alla folle corsa verso l'abbrutimento stanno partecipando tutti, giocatori e presidenti, tifosi e signori del Palazzo.   Ognuno porta il suo piccolo pezzo di sterco:   prima o poi ci ritroveremo tutti sommersi.   E non è vero che a dar prova di saldi principi razzisti, di cori e atteggiamenti rissaioli, di invocazioni a picchiare a più non posso e di esercitazioni in rima baciata dove un insulto non si fa mai mancare a nessuno sia sempre il solito gruppetto di facinorosi «che certo non ha niente a che vedere con i tifosi veri», come si ostinano a mentire tutti i presidenti delle nostre beneamate.   Non è vero.   Sono la maggior parte, sono Curve intere, sono autentiche legioni, ovunque, su tutti i campi d'Italia.   Sono quelli che allo stadio dettano legge, impongono cori e parole d'ordine, compattano e guidano, comandano.   Sono gruppi preparati a questo unico scopo.   E hanno i loro simboli il loro linguaggio, i loro segni di riconoscimento.   Sono gruppi da guerriglia sportiva:   basta innescarli, prima o poi faranno il botto.   E hanno i loro capi, riveriti e corteggiati, che tutti conoscono e tutti foraggiano.   Biglietti gratis, facilitazioni nelle trasferte, persino passaggi aerei.   Alzi la mano quel presidente che abbia davvero tagliato i cordoni con simili personaggi.   Saremo lieti di stringergliela e di salutarlo come il salvatore della patria calcistica.

Ma quanti sono i coraggiosi? Quanti sono disposti a mettere davanti a tutto i valori di una convivenza civile tra uomini di razze diverse? E quanti i presidenti pronti a compiere un gesto di rottura totale e definitiva con il luridume razzista che si manifesta a ogni partita? Ci sono? Si facciano sentire.   Stabiliscano di giocare a porte chiuse, che tanto non sono più gli incassi dello stadio a determinare i loro bilanci.   Condannino apertamente giocatori e allenatori che si fanno beccare in flagranza di razzismo.   Anzi, stabiliscano regole certe e le inseriscano nei contratti:   il primo che sbaglia trova le valigie pronte nello spogliatoio.   Partenza immediata, e senza ritorno.   Ma non ci sono.   E allora tenetevelo stretto questo campionato di padri di famiglia con il pargolo al seguito che si trasformano in energumeni da stadio, di giocatori che danno dello «zingaro» o del «negro di merda» ai loro colleghi, di trucidoni senza rispetto nemmeno per se stessi, di simboli sensa senso, estirpati dalla storia più atroce degli uomini (le rune, le svastiche...) e usati come fossero gadget dalle masse giovanili senza cultura alcuna.   Tenetevelo stretto, ma non veniteci a dire che l'Italia non è un paese razzista.   Se lo fosse davvero, non saremmo a questo punto, non avremmo il campionato di calcio più razzista e stupido del mondo.  

E non vedremmo quegli slogan inneggianti all'odio straripare dalle tribune degli stadi per riversarsi nella nostra vita di tutti i giorni, trasformarsi in modi di dire, pensare ed atteggiarsi.   Non li sentiremmo sulla bocca dei ragazzi...   Di loro ci preoccupiamo.   Ma sappiamo che la stupidità è un virus contagioso, e l'esecrazione non basta, non è la medicina che possa curarlo.   Occorrerebbe una svolta, dove tutti gli attuali portatori di sterco rinsavissero e tutti insieme si mettessero a remare in senso contrario, giocatori e presidenti, tifosi buoni e signori del Palazzo.   Che possa accadere oggi sta solo nel mondo dei sogni.   Però da qualche parte bisogna cominciare.   Forse dalle mamme, alle quali, sentitamente, rivolgiamo un appello:   proibite ai vostri figli di andare allo stadio.
Daniele Azzolini, giornalista  
 

DANIELE AZZOLINI    

Giornalista