INQUINAMENTO: Non esiste ancora l'accordo sul Trattato di Kyoto (Dal Corriere della Sera)

DAL NOSTRO INVIATO
La sala che ha ospitato le delegazioni nazionali partecipanti alla conferenza Onu sul clima (Ap)
La sala che ha ospitato le delegazioni nazionali partecipanti alla conferenza Onu sul clima (Ap)
NAIROBI (Kenya)
- «Il Protocollo di Kyoto è salvo», assicura soddisfatto il ministro dell’Ambiente, Alfonso Pecoraro Scanio, mentre la conferenza mondiale sui cambiamenti climatici di Nairobi si avvia alle ultime battute. Ma certo non sta molto bene, si potrebbe aggiungere parafrasando Woody Allen. Nella capitale keniota, ancora una volta, si è scongiurata una fine prematura del trattato salva-clima, che impone la riduzione delle emissioni dei gas serra. Tuttavia si ancora è ben lontani dall’aver realizzato un progetto di riduzioni veramente globale che coinvolga, sia pure con oneri differenziati, tutti i Paesi del mondo. Sia fra i Paesi maggiormente industrializzati, sia fra quelli in via di sviluppo, c’è chi continua a pensare che il meccanismo delle riduzioni vincolanti e legate a precise scadenze sia incompatibile con lo sviluppo economico. Come pure si è ben lontani dall’aver dato una sicura prospettiva di esistenza al trattato di Kyoto oltre il 2012 (data di scadenza della sua prima fase), dato che a Nairobi si è deciso di rinviare le decisioni sulle modalità di attuazione del cosiddetto Kyoto 2 al 2008: altri due anni nella speranza di convincere i più riottosi.
IMPEGNI A QUATTRO VELOCITA’ - Si potrebbe dire che da Nairobi esce un quadro degli impegni di riduzione delle emissioni di gas serra almeno a quattro velocità. Al primo posto ci sono i Paesi europei come Gran Bretagna, Francia e Germania, che finora hanno rispettato gli impegni assunti a Kyoto e che, con molta probabilità, arriveranno alla scadenza del 2012 con le carte a posto. Come hanno fatto? Smantellando centrali e industrie obsolete e puntando su rinnovabili e nucleare. Proprio dai rappresentanti di questi Paesi è stato espresso a Nairobi l’impegno di procedere con maggior vigore sulla strada delle emissioni di gas serra, arrivando addirittura a tagli del 50-75% entro il 2050. Che è più o meno quanto richiesto dagli scienziati dell’IPCC (il gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici dell’ONU) per scongiurare danni irreversibili al sistema climatico.
IMPEGNI DISATTESI - Al secondo posto ci sono i Paesi che hanno aderito ai patti di Kyoto ma che non ce la fanno a tenere il passo. Fra questi, il Canada ha già gettato la spugna, dichiarando a Nairobi che non potrà mantenere gli impegni di riduzione assunti nel 1997. Altri, come l’Italia, hanno ammesso di essere in difficoltà, di avere finora aumentato piuttosto che ridotto i gas serra, ma di tentare di fare di meglio per risalire la china. Il ministro Pecoraio Scanio ha firmato un protocollo d’intesa con il governo del Kenia per il trasferimento di tecnologie pulite. E lo stesso sta facendo con altri Paesi emergenti: meccanismi, questi, che permetteranno di alleggerire le quote di riduzione non conseguite in campo nazionale.
C'E' CHI DICE NO - Al terzo posto ci sono i Paesi in via di sviluppo, Cina e India in testa, che rifiutano di entrare né ora né dopo il 2012 in un progetto planetario di contenimento delle emissioni perché affermano: «Il danno maggiore all’atmosfera, finora, è stato procurato dai Paesi industrializzati e sono loro che devono agire per primi». Ma per alcuni economisti, il primato di maggiori inquinatori dell’atmosfera, passerà dagli Stati Uniti alla Cina entro tre anni circa. E allora si dovranno rifare i conti. Il quarto e ultimo posto è occupato da Stati Uniti e Australia che non hanno ratificato Kyoto e che affermano di poter impegnarsi in futuro solo attraverso azioni volontarie, senza meccanismi di controllo e sanzioni. Tuttavia, tre senatori presidenti di commissioni, hanno fatto circolare a Nairobi una lettera aperta a Bush in cui lo accusano di avere sbagliato tutto in politica ambientale e gli chiedono, dopo il fallimento delle elezioni di medio termine, di avviare azioni concordate bipartisan.
ITALIA SENZA PIOGGE - «La conferenza di Nairobi non sarà un grande successo, ma qualche passo avanti si è fatto –si consola il segretario generale dell’IPCC, il climatologo indiano Rajendra Pachauri-. Sono stati aumentati i fondi destinati alle energie pulite dai Paesi industrializzati a quelli in via di sviluppo e il numero dei progetti in via di realizzazione sta aumentando». Pachauri si dice fiducioso che l’anno prossimo, quando uscirà il IV rapporto dell’IPCC, una specie di summa delle conoscenze sul sistema climatico e delle sue anomalie, i governi indecisi si muoveranno con maggiore determinazione perché l’incertezza scientifica sulle cause dei cambiamenti climatici si è ridotta e emerge sempre più chiara la responsabilità dell’uomo. Proprio sul tavolo dell’IPCC è arrivato i questi giorni uno scenario sul clima in Italia previsto per la fine del secolo, elaborato dall’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (INGV), che presenta la più alta risoluzione spaziale fra i modelli realizzati finora. «Emerge una marcata diminuzione delle precipitazioni invernali a causa dello spostamento verso l’Europa Settentrionale delle aree di basse pressioni –spiega il professor Antonio Navarra della sede INGV di Bologna-. Questo fenomeno sarà accompagnato da un aumento delle temperature medie di circa tre gradi. Insomma, estati più calde, simili a quella del 2003, che fu caratterizzata dal succedersi di numerose ondate di calore, e inverni meno piovosi". Lo scenario INGV indica anche che l’aumento più marcato delle temperature si manifesterà nelle regioni più prossime ai Poli e che sarà accompagnato da un drastico scioglimento dei ghiacci marini.
Franco Foresta Martin
18 novembre 2006